Dentro i vestiti che indossiamo ogni giorno
- Patrizia Coffaro

- 2 giorni fa
- Tempo di lettura: 5 min

(Di Patrizia Coffaro)
Ciò che indossiamo sta entrando nel nostro sangue, nei nostri organi, nel nostro sistema endocrino... é sulla nostra pelle tutto il giorno, lo respiriamo, lo laviamo, lo buttiamo e ogni passaggio lascia una traccia.
Eppure continuiamo a trattare i vestiti come qualcosa di esterno, come se non avessero alcun impatto reale su salute e ambiente. E invece, più andiamo avanti, più capiamo che la moda ultra-veloce, quella dei capi economici, ha un costo altissimo che non compare mai sullo scontrino.
Negli ultimi anni, uno dei marchi più chiacchierati, e più acquistati dai giovani ma anche dalle signore, è diventato il simbolo di tutto questo. Non solo perché sforna migliaia di capi al giorno, non solo perché la qualità è pensata per durare quanto un gatto sull'Aurelia, ma perché dentro ai loro tessuti continuano a comparire sostanze tossiche proibite o fuori limite. E parliamo anche di prodotti per bambini.
Sì, è successo di nuovo e chi lavora per indagare queste cose lo ha confermato (Greenpeace), i capi testati contengono metalli pesanti, PFAS, ftalati, formaldeide e altri composti che, semplicemente, non dovrebbero stare su un vestito. Mai, soprattutto non su chi lo indossa tutti i giorni. Ma andiamo con ordine. Cos’è emerso dagli ultimi test sui vestiti del fast fashion? Sono stati acquistati decine di capi, vestiti, giacche, scarpe, in diversi Paesi. Tutti analizzati da un laboratorio indipendente.
Il risultato? Un terzo dei prodotti supera i limiti di legge per sostanze pericolose... un terzo, non uno su cento. E non parliamo di microtracce accettabili, in alcuni casi i valori erano centinaia o migliaia di volte superiori ai limiti europei. Vediamo cosa è stato trovato.
1. PFAS
Sette prodotti, soprattutto giacche, avevano livelli di PFAS fino a 3.300 volte oltre il limite.
I PFAS non sono un dettaglio, sono composti che non si degradano e restano nell’ambiente per secoli. Entrano nelle falde, nei corsi d’acqua, nel corpo umano. Gli effetti documentati includono, alterazioni del sistema immunitario, problemi alla tiroide, riduzione della fertilità, danni al fegato e ai reni, maggior rischio di tumori. E il punto è questo, non si eliminano, si accumulano. È come versare gocce di veleno in un bicchiere piccolo ogni giorno. Alla fine il bicchiere si riempie.
2. Ftalati
Interferiscono con gli ormoni. Trovati in 14 prodotti acquistati. Sei di questi superano i limiti di oltre 100 volte. I ftalati vengono usati per rendere i materiali morbidi e flessibili, soprattutto nelle stampe e negli accessori dei vestiti. Il problema? Sono collegati a disfunzioni endocrine, riduzione della fertilità, problemi nello sviluppo infantile, impatti sulla crescita, alterazioni del sistema riproduttivo. E ancora una volta, finiscono nelle acque. E da lì negli organismi viventi, si accumulano nelle catene alimentari, ritornano nei nostri piatti. È un ciclo chiuso, solo che nessuno lo ha scelto.
3. Metalli pesanti
Piombo e cadmio sono stati trovati in due prodotti, ma è più che sufficiente. Parliamo di sostanze che, se entrano nel corpo, ci restano. Il piombo danneggia lo sviluppo cerebrale, QI nei bambini, comportamento, sistema nervoso, reni, ormoni. Il cadmio è considerato cancerogeno e compromette i reni, fegato, polmoni, sistema cardiovascolare, fertilità. È un veleno silenzioso che agisce anche a dosi minime nel tempo.
4. Alchilfenoli etossilati (APEO)
Trovati in 1 prodotto, ma anche qui non serve un grande numero per parlare di rischio. Questi composti, una volta dispersi nell’ambiente, si trasformano in sostanze estremamente persistenti, bioaccumulabili, tossiche... capaci di alterare il sistema endocrino degli organismi acquatici
La cosa più scioccante? Nei pesci maschi favoriscono la femminilizzazione. Capisci la portata? Se alterano i sistemi biologici negli animali, pensiamo davvero che negli esseri umani siano innocui?
5. Formaldeide
Un solo prodotto, ma basta un respiro per irritare gli occhi e le vie respiratorie. A lungo termine può provocare danni al DNA. E infatti è classificata come cancerogena.
Ma perché succede tutto questo?
Perché il fast fashion vive su un concetto semplice, produrre velocemente, produrre tanto, produrre al prezzo più basso possibile. E per fare questo si usano processi chimici non controllati, si ricorre a coloranti economici, si sfruttano materiali sintetici a base di petrolio, si produce senza supervisione reale, si aggirano i controlli normativi.
E soprattutto si sfrutta la manodopera dove non ci sono tutele e, spesso, dove le sostanze proibite costano poco e si possono usare senza problemi. I numeri di questo colosso parlano chiaro... oltre trecentosessanta milioni di visite al mese. Mezzo milione di modelli disponibili. Più del doppio dei cataloghi delle grandi catene.
Il poliestere, quindi plastica derivata da petrolio, rappresenta l’ottantadue percento dei materiali utilizzati. È il trionfo del fossile convertito in maglietta, della microplastica che si stacca ad ogni lavaggio, del tessuto che finisce nelle acque e torna a noi attraverso cibo, aria e acqua. E il prezzo basso? Lo paga il pianeta, i laboratori artigiani sfruttati e, alla fine, lo paga chi indossa quei vestiti.
Addirittura l’azienda aveva promesso di migliorare… Sì, ogni volta che un'inchiesta scopre qualcosa. Ma i test dimostrano che l’autoregolamentazione volontaria non basta, senza obblighi, senza leggi serie, senza limiti stringenti e controlli reali, non cambierà nulla.
Non è cattiveria... è il modello di business a non permetterglielo. Se un brand basa la sua crescita sulla vendita compulsiva e sulla produzione incessante, ridurre l’uso di sostanze tossiche significherebbe, rallentare, spendere di più, ridurre la varietà, abbassare i margini. Cosa che nessuna azienda di fast fashion ha intenzione di fare spontaneamente.
Il fast fashion non è solo un problema estetico o etico... è un problema sanitario Quando pensiamo alle sostanze tossiche, immaginiamo fabbriche, fumo, scarichi industriali. Non pensiamo mai a una magliettina da due spicci... a una giacca impermeabile, a un paio di leggings e invece i tessuti sono tra le prime fonti di esposizione quotidiana per adulti e bambini.
Li indossiamo sulla pelle per ore, li respiriamo mentre dormiamo, li laviamo e li facciamo circolare nell’acqua domestica. E, quando li gettiamo, diventano rifiuti che vivono per centinaia di anni, continuando a rilasciare sostanze. È un impatto silenzioso, invisibile, ma costante.
E allora, che si fa? Non possiamo cambiare il mondo da soli, ma possiamo smettere di alimentare un sistema che si regge sui nostri acquisti. E ci sono alcune scelte pratiche, privilegiare fibre naturali non trattate, scegliere marchi che dichiarano la filiera e i test chimici, acquistare meno ma meglio, preferire il second hand, evitare i tessuti plastici dove possibile, leggere le etichette. E, soprattutto, sostenere norme che obblighino questi colossi a rispettare criteri severi per la salute e l’ambiente.
Perché senza leggi il fast fashion non cambierà. E senza cambiamento, continueremo a vivere in un mondo dove un vestito a basso costo, costa, in realtà, la salute di tutti. Il problema non sono solo i vestiti… è il sistema. E il sistema si basa su tre pilastri pericolosi:
1. Sovrapproduzione che genera montagne di rifiuti.
2. Sostanze tossiche che entrano nella nostra vita senza che ce ne accorgiamo.
3. Sfruttamento che permette prezzi irrealisticamente bassi.
Se vogliamo davvero proteggere noi stessi, i nostri figli e il pianeta, dobbiamo iniziare da qui... dalla consapevolezza. Dalla scelta di una moda più lenta, più pulita, più umana. Perché sì, un vestito può essere bello, economico e alla moda. Ma non può valere la nostra salute e nemmeno la salute del pianeta.
XO - Patrizia Coffaro
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